Bilancio europeo e clausola dello stato di diritto. Il potere dei sovranisti blocca l’Unione Europea?

Bilancio europeo e clausola dello stato di diritto. Il potere dei sovranisti blocca l’Unione Europea?

Il 10 novembre Consiglio e Parlamento hanno raggiunto l’accordo politico sul Quadro finanziario pluriennale 2021-27 e Next GenerationEU (più di 1 miliardo di EURO).
Andando incontro alle richieste del Parlamento Europeo, che chiedeva di rafforzare il bilancio UE per renderlo adeguato ad affrontare, oltre all’emergenza Covid, anche le sfide dell’Unione come il Green deal e la digitalizzazione, gli Stati membri hanno accettato di destinare al Multiannual Financial Programme (MFF) 16 miliardi in più.
Il terzo tassello è la condizionalità di bilancio basata sullo stato di diritto: i Paesi che non rispettano lo Stato di diritto perderanno l’accesso ai fondi europei. Una clausola che potrebbe facilitare la conclusione del negoziato sul Quadro finanziario pluriennale 2021-27 e che rispecchia la volontà del 77% dei cittadini europei che si sono detti favorevoli a questo meccanismo. E’ su questo punto che i passaggi per la formalizzazione dell’accordo sul bilancio europeo, e con esso anche la partenza del Recovery Fund, rischiano di bloccarsi: dopo la lettera del ministro ungherese Viktor Orban, anche il premier polacco Mateusz Morawiecki ha minacciato il veto se il meccanismo di condizionalità non verrà rimosso.

“Noi abbiamo concluso un accordo con il Consiglio” afferma il Presidente dell’Europarlamento David Sassoli, “adesso se il meccanismo si inceppa, sarà per l’incapacità degli Stati membri di imporsi su Polonia e Ungheria, che ancora minacciano di bloccare tutto”. 
In Parlamento sono consapevoli che niente è ancora ottenuto per davvero. Lo spettro di un veto dei governi più sovranisti si manifesta ancora sull’UE. Ma all’Europarlamento si considera concluso tutto l’iter di competenza dell’Istituzione. Adesso sono i leader a dover evitare che gli sforzi negoziali iniziati a luglio vengano mandati a monte.
“Le decisioni sono state prese per i nostri cittadini, questo è un buon accordo per i cittadini europei”, afferma ancora Sassoli, che vuole mettere in chiaro su chi ricadono da qui in avanti le responsabilità di un eventuale insuccesso.
Il presidente del Parlamento europeo conclude amareggiato il suo intervento, dicendo che abbiamo bisogno di un governo europeo e che la seconda fase della pandemia deve portare l’Europa ad attivare misure che arrivino alle persone e rassettino alcune regole sul funzionamento della democrazia europea.

Le vere responsabili sono Ungheria e Polonia che hanno bloccato l’accordo. Giovedì pomeriggio il Coreper, l’organismo di cui fanno parte gli ambasciatori degli Stati presso l’Unione Europea, non ha raggiunto l’unanimità necessaria per dare il via libera agli accordi sul bilancio 2021-2027 e avviare la procedura volta all’aumento dei massimali delle risorse proprie dell’Unione, necessario perché la Commissione Ue possa emettere i bond con cui finanziare i 750 miliardi del Recovery Fund. Gli ambasciatori hanno però approvato l’accordo con il Parlamento Ue sul meccanismo che legherà l’erogazione dei fondi europei al rispetto delle regole dello Stato di diritto, per tale accordo bastava infatti la maggioranza qualificata e, quindi, il diniego di Ungheria e Polonia non ha pesato sul risultato finale. Gli ambasciatori hanno discusso i regolamenti adottati dai leader Ue lo scorso luglio con riferimento al Recovery Fund e al bilancio pluriennale. Di fatto Budapest e Varsavia hanno messo in discussione l’accordo di luglio.
Tutta questione di coerenza e politica: “L’Ungheria ha posto il veto al bilancio, come aveva avvertito il primo ministro Orbán perché non possiamo sostenere il piano nella sua forma attuale che lega i criteri dello Stato di diritto alle decisioni di bilancio: è il contrario delle conclusioni del Consiglio di luglio” twitta il portavoce del premier ungherese Orbán.
La speranza adesso è che le diplomazie europee riescano ad abbattere il muro dei divieti, in quanto sarebbe inaccettabile che l’Unione europea abdicasse alle regole dello Stato di diritto e alla tutela dei diritti civili e politici, veri pilastri della democrazia europea.